Storie e leggende

Oro e briganti nell’ Agnone del 1860

Dell’oro,  come del maiale,  non si butta mai niente.

Infatti gli orafi recuperavano ogni scarto di lavorazione e persino la spazzatura quotidiana chiamata  “scopiglia”  che, raccolta in appositi contenitori ,  veniva portata a Napoli dove poi, opportunamente trattata,  permetteva di recuperare l’oro  finito tra i rifiuti.

Ora avvenne che per un lungo periodo nessuno si fece vivo per ritirare i preziosi rifiuti. Ne fu chiesta spiegazione e  la risposta non tardò ad arrivare. L’incaricato al ritiro per la nostra zona chiedeva perdono  per il grave ritardo, raccontando che in pochi  mesi i briganti che infestavano parte della Campania, avevano rapinato e ammazzato due incaricati al ritiro e concludeva dicendo: -Vedete, io ho famiglia!-.  Dunque l’arcano era svelato. Nei pressi di  Pietrabbondante scorrazzava impunita  una combriccola alquanto numerosa di briganti che non disdegnava di commettere brutalità, rapine e sequestri nei confronti dei  viaggiatori.


Da  Agnone partivano i nostri orafi alla volta di Napoli e verso il circondario per vendere i loro manufatti. Fu proprio in uno di questi viaggi di lavoro che il brigante capobanda Vincenzo Di Pinto alias “Cuzzitt” fermò e rapinò gli orafi agnonesi  Emidio Iannicelli e Rinaldo d’Onofrio.

Vincenzo di Pinto dopo essere stato catturato fu condannato. Liberato grazie a un provvedimento di amnistia del re Vittorio Emanuele II,  fu assunto come guardaboschi, per poi morire in Agnone, nella locanda di Rosario Circelli.

 Mia madre mi raccontava di un suo prozio orafo,  Antonino  d’Onofrio, che d’inverno produceva gioielli e orologi, mentre in primavera partiva per Napoli per vendere i suoi manufatti.  Essendo venuto a conoscenza della presenza di briganti nel territorio tra Pietrabbondante e Agnone, pensò bene di travestirsi da pastore e unirsi a un gruppo di pecorai che in primavera si recavano in Campania.

Giunti che furono nei pressi del bosco di “Caparreccia” il gruppo fu circondato dai briganti che, senza esitare, si rivolsero al falso pastore intimandogli, pena la morte,  di consegnare loro tutto il suo prezioso bagaglio. Quando il finto pastore cercò di opporre resistenza , si vide puntare alla gola un coltello ben acuminato.   Visibilmente spaventato il nostro eroe realizzò che,  tutto sommato,  era meglio restare in vita e consegnò  tutta la sua mercanzia. Prima, però,  trovò la forza di dire rivolto al suo aguzzino . -Statte ferme segnore bregande ca quisse, se ficca ! -. Tornò in Agnone senza né merce, né soldi, ma con un grande spavento che lo lasciò a letto per diverse settimane.  L’aveva scampata bella!  Quella era la stessa banda  di briganti che mesi prima  aveva sequestrato e rapinato i due orafi agnonesi.

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