La prima rivelazione fu fatta sessant’anni fa da Angelo Viti, direttore della biblioteca comunale di Isernia. Su un articolo del Mattino, Viti dichiarò che la statua portata in processione il 19 maggio sia in realtà quella di Bonifacio VIII e non quella di Celestino V.
Si tratterebbe di una sottile ironia del destino, in quanto tutti sappiamo della rivalità esistente tra i due Papi. Quindi una sorta di affronto, non voluto, al povero Celestino V.
Pietro Morrone, catturato e trascinato a Napoli contro la sua volontà venne incoronato col nome di Celestino V. Si dice che la notte il Papa udiva la voce di un Angelo che gli comandava di rinunciare al Papato.
In realtà la voce era del cardinale Caetani (Bonifacio VIII) che lo spingeva “al gran rifiuto”, così, sei mesi dopo, depose la tiara. Dopo undici giorni Bonifacio divenne Papa e fece arrestare l’ormai frate Pietro. Lo sventurato cercò di fuggire ma fu catturato e rinchiuso nel castello di Fumone, dove morì. Probabilmente la notizia relativa al tentativo di far abdicare Celestino V fu messa in giro dai nemici di Bonifacio VIII.
Nel novembre scorso, però, il giornalista Mauro Gioielli riprese, confutandola, la teoria di Viti, grazie all’individuazione di un documento iconografico, al quale si ispirò l’artigiano che realizzò il busto nel 1896. Però, a differenza di Viti, la cui ipotesi era relativa a una copia del ritratto di uno dei pontefici raffigurati nei mosaici della chiesa romana di San Paolo fuori le Mura, Gioielli sostiene che si tratti della copia di una incisione di Pietro Vajani, xilografo del XIX secolo, inserita nel primo volume dell’opera “Biografie e ritratti degli uomini illustri della Provincia di Molise”, stampata nel 1864. L’incisione ritrae, Pietro Morrone, testimoni il profilo del volto, la postura, la tiara, la croce. Quindi, di fatto, la scultura portata in processione sarebbe effettivamente quella di Papa Celestino V.
