Storie e leggende

Il Carnevale insolente di Ripabottoni

A Ripabottoni il Carnevale è rappresentato da una persona vestita da spaventapasseri chiamato Re per farsi beffa della casta più abbiente della società. Il popolo trovava divertente umiliarlo fino alla sua morte che coincideva con la fine del carnevale. Veniva quindi accompagnato in corteo vagamente somigliante a un funerale, in piazza.

Nelle sere dei giorni grassi, eccetto il venerdì, la confraternita della Buona Morte girava per i vicoli, recitando i Salmi penitenziali. Ma il popolo che a quell’ora era a cena, appena la confraternita si allontanava urlava: I makkar’na:r’ sònn’ pèssat’, p’tèm’ mègnà…” – I maccaronari sono passati, possiamo mangiare. Si rinnova così il rito pagano della gioia, che coinvolge grandi e piccini e li accomuna nel liberarsi di un fantoccio “Mèrkoffi(e)”, simbolo della tristezza quotidiana.


Il carnevale rappresenta la festa antica che ricorda il risveglio della terra dopo l’inverno e i rituali propiziatori del raccolto. Per questo il simbolo dei funerali accompagnati dai lamenti delle “prefiche” (uomini mascherati da donne).

Si usava dipingere il volto di nero usando la fuliggine e il lucido da scarpe, i satiri erano soliti indossare la pelle di capra e seguire il rituale della squadra del “Calvario” suonando i campanacci dei “Lupi Mannari” della “fontana ‘bball”. Alcuni coronavano di corna la testa o portavano  un fazzoletto variopinto stretto dietro la nuca.

Si spostavano con movimenti felini in gruppi di dodici, procedono a due a due, sporcando con il lucido da scarpe, la faccia degli astanti.

I quattro gruppi: u “Calvario” o Cap(e)mmònt’ , i “Lupi Mannari” della “fontana ‘bball”, il Piano della croce, la Terravecchia convergono in piazza dove si abbandonano a danze tribali. Le maschere rimangono mute: Umbra silentes (Ombre silenziose), cercando di prendere le fanciulle presenti, che si allontanano urlando. Se prese, pagheranno il riscatto con un bacio.

Il copricapo dei “fabulosi” compagnoni era un lungo cono infiorettato, abbellito in punta dal piumaggio del gallo cedrone, volatile che riconduce a una prova iniziatica d’ardimento per i giovani contadini. Il capogruppo porta una mazza corta e variopinta battuta sul palmo della mano al momento della ricerca della “vittima”. La compagnia è preceduta da un gruppetto di ragazzi che annunciano di casa in casa l’arrivo delle maschere.  Nelle prime ore della sera i portatori di torce davano inizio alla festa, sfilavano cercando di rubarsi a vicenda le torce generando un gran pandemonio.

La sfilata prosegue con gli uomini nei sacchi, e la corsa degli asini. I contadini cercavano di catturare i signori e metterli in sella agli asini per portarli in giro per il paese, tutto però avveniva con il consenso dei “signori” come dimostrazione del loro potere economico.  Seguivano i satiri suonatori, che precedevano le donne “assatanate” che portavano in processione un gigantesco “salsiccione”. E ancora i “makkar’nar” o “chinchinàr'” (gli straccioni) che procedono con grossi piatti pieni di bucatini conditi con sugo che mangiavano con le mani. Durante il corteo volutamente si scantonava nell’osceno perché nell’ultimo giorno di carnevale tutto era permesso. Nel colmo della festa penetravano nelle case per domandare o prendersi liberamente uova, galline, salsicce, lardo, frittelle. Seguiva una scena che affondava le radici nei riti orgiastici dei millenni andati con le “donne” (gli uomini travestiti) che si gettavano sul fantoccio. Avevano poi inizio le danze in un grande cerchio che si interrompeva al sopraggiungere delle maschere.

Prima di entrare, il capo-compagnia, dopo aver fatto due o tre piroette, chiedeva il permesso di entrare nel “palazzo” con tutta la sua bella grande compagnia. Ai sarcasmi non era ammessa replica.

Fonte: https://digilander.libero.it/leggendeitaliane/leggende/molise/Il%20Carnevale.htm

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