Storie e leggende

Come nasce un confetto “riccio”

Questo racconto è di Carolina Orlando, che ringraziamo per il consenso alla pubblicazione.


Come nasce un confetto “riccio”. L’antica tradizione artigianale e le fasi di lavorazioni di un prodotto che continua a far ingolosire grandi e piccini 

Mi chiamo “confetto riccio” e sono nato nella premiata ditta “Giuseppe Orlando e figlio” di Agnone. Quando? Eh, tanto e tanto tempo fa. Così lontano nel tempo che, pensate, non c’è più il mio certificato di nascita. Ricordo soltanto che l’artefice della mia venuta al mondo fu una mia trisavola il cui mestiere era quello di vendere spezie da cui derivò il nome di “la Spezialetta” arrivato fino ai giorni nostri. Buffo no? La mia esistenza cominciò in Caffè. Infatti la trisavola restò sola. Il marito, uno spirito avventuriero, partì per l’Argentina lasciandola sola con i figli. Fu così che lei per procurarsi il pane pensò bene di aumentare l’attività mettendo su una piccola pasticceria e, senza perdersi d’animo anzi, rimboccandosi le maniche, iniziò la produzione. Fu così che nacqui io. Ascoltate bene: ora vi racconto come fece e come ancor oggi si formano e diventano grandi tutti i miei famosi fratelli di Agnone. Per fare un confetto riccio alla vecchia maniera, per prima cosa si devono pelare le mandorle e poi tostarle. Non mandorle comuni, mi raccomando! Eh, no di certo. Vanno scelte quelle che vengono esclusivamente da Avola, in Sicilia, perché sono le migliori per questo uso. Dunque, dicevo: le mandorle si devono far pelare e poi tostare. La tostatura avviene nel “tammuriello”. Per lavorare e avere ottimi confetti, la qualità di mandorle che si lavora nel “ciammiell” deve essere almeno di cinque chili. Il giorno successivo a queste prime operazioni c’è la levataccia. O almeno così era ai miei tempi. Eh, sì perché il lavoro iniziava alle 3 del mattino. Io non so se ancora oggi succede così. Allora, per prima cosa c’era da accendere un gran fuoco di carboni per riempire la “coppa” che si metteva sotto “ru ciammiell”. Il fuoco serviva per far evaporare l’acqua e far depositare lo zucchero (senza glucosio) sulle mandorle. Prima di iniziare la fase successiva, il maestro confettiere si faceva il segno della croce e così dovevano fare anche i collaboratori, se ne aveva. Poi, insieme, si recitava l’Ave Maria. Sulle mandorle, man mano si faceva cadere, grazie a un mestolo di rame, la giusta quantità di zucchero sciolto precedentemente in acqua con aggiunta di chiodi di garofano e cannella. Naturalmente l’operatore addetto a “ru ciammiell” era sempre lo stesso la quale provvedeva con movimenti omogenei e ripetuti affinché le mandorle fossero ricoperte in modo uniforme e costante. Logicamente il lavoro non era semplice perché durante la lavorazione si presentavano degli inconvenienti che potevano rovinare la forma del confetto. Quindi l’operatore doveva essere bravo da apporre gli aggiustamenti necessari in maniera tale che i confetti fossero sempre uguali e perfetti. Pensate che abilità e pazienza. Il lavoro durava tanto e non terminava certo con le sei o le otto ore giornaliere di oggi. Anzi, andava ben oltre. Non erano ancora i tempi delle rivendicazioni sindacali. Arrivati ad una determinata grandezza dei confetti, iniziava l’operazione “arricciatura”. Questa era la fase finale ma anche la più importante della lavorazione di un confetto riccio come, degno di tale nome. Come succedeva? Si aggiungeva il “secchiello” che con la sua bacchetta faceva scendere lo zucchero filato in maniera filiforme e continuativa. Attenzione però: il movimento che conferiva a “ru ciambiell” cambiava continuamente perché i confetti dovevano saltare, rimbalzare, rotolare, in modo che lo zucchero si depositasse in maniera non uniforme sul loro corpo. Che divertimento per tutti i miei fratelli. Una vera giostra. Solo in questa maniera, infatti, ogni confetto assumeva la caratteristica “punzatura” (la riccia) che solo ad Agnone sanno fare. Terminata questa fase, che da sola durava 3-4 ore, i confetti si mettevano in un canestro per farli asciugare. Infine, venivano messi in contenitori di vetro con copertura emetica perché il contatto con l’aria non facesse perdere loro l’aroma, la fragranza, la tenerezza. Insomma per mantenere intatta la squisitezza che ha reso famosi i confetti artigianali di Agnone in tutto il mondo. Ecco, il lavoro era terminato per la gioia di chi li avrebbe gustati…

You may also like...