Storie e leggende

Tarantismo molisano

Il fenomeno del tarantismo è legato principalmente alla Puglia, ma è stato storicamente documentato anche in Molise una regione che, vicina a Puglia e Campania ha più volte registrato l’unione o il distacco amministrativo di località di cultura sannita e dauna e che, nel 1811, ha  allungato i suoi confini verso l’Adriatico annettendo aree che erano state l’appendice settentrionale della Capitanata.

Il tarantismo molisano aveva già in precedenza espresso autonomi valori distintivi, così come suggeriscono la leggenda de La baronella e la forficula e la pratica di danze quali la tonda e la spallata.

Il dottor Giuseppe M. Carusi, medico di Baselice, nell’estate del 1847, durante una epidemia di tifo, ricevette una circolare ministeriale che voleva conoscere: «se la tarantola pugliese sia o pur no velenosa; e se, mordendo l’uomo, vada questi soggetto a quella famosa malattia detta tarantismo». Il medico inserì nella Memoria notizie circa la tarantola che «sul rialto del Carmine presso Colle del Molise» era «frequentissima». Inoltre ne descrisse le caratteristiche anatomiche soffermandosi sul suo «apparecchio venefico».  Carusi arrivò persino a sperimentare su cavie umane, in particolare su bambini, facendoli mordere e restando soddisfatto che questi non riportavano alcun bisogno di danzare o di ascoltare musica tipico dei tarantolati. Il medico non mancò di sperimentare anche su se stesso.

In relazione a queste danze, sappiamo dal Gioielli che alcune località a quel tempo molisane, ossia Fojano (di Valfortore) e Colle (Sannita), così come Baselice, hanno fatto parte della Provincia di Molise fino al 1861, trovano riferimenti circa il ballo denominato tonda. La tonda si danzava il 24 giugno presso una chiesa «dedicata al Beato Giovanni da Tufara» situata nel Bosco Mazzocca (o Mazzocco), fra Colle e Fojano.  Sempre nella Memoria Carusi, prima smentisce e poi conferma due casi di morsi di ragno: Domenico Viola, di Baselice, «dal ragno morsicato» durante la «notte de’ 27 luglio 1839, dormendo all’aperto», e successivamente una donna nativa di Cella (oggi Celle di San Vito) che da giovane «per amore infelice patì cotal morbo», benché non ricordasse «di essere stata mai morsicata dal ragno».

Il 24 giugno presso i ruderi della chiesa dedicata al Beato Giovanni, si radunavano in molti, provenienti da varie località, vicine e lontane e replicavano una solenne festa che ricorda i Lupercali. C’era musica, venditori ambulanti, mense e si ballava la tonda: quindici o venti coppie, e talvolta più, di uomini e donne, massime di Colle, di Fojano e Sammarco de’ Cavoti, pongonsi in cerchio, ed a dati accordi musicali, muovonsi, danzano e s’urtano in sì strani modi, spesso osceni, che destano il riso. E pure quel ballo è liturgico, ché istituito da’ Teutonici, passa da generazione in generazione. Esso ha molta somiglianza col tarantismo…

Non mancano anche canti che fanno riferimento al tarantismo, come possiamo vedere dalla raccolta del Perrotta (1937 -1940). Perrotta, a proposito della tarantella, scrive: «…ballavano la tarantella o solo uomini o anche uomini e donne specie se coniugi. […] E una volta una vecchia suonò per me, per qualche istante, con mano malferma, il tamburello senza crotali. […] Le donne da sole, se ne avevano voglia, ballavano la tarantella al suono del tamburello…»

(canto n. 4)
Làscelì bbellà ssi duie feglióle:
tènne a tarendèlle sótte i péde.

(canto n. 7)
Oie mamme e óie tate,
a tarendèlle m’è pezzecate;
m’è pezzecate tutte cóse
a tarendèlle velenose.

Nel 1957 abbiamo anche un resoconto di Alberto M. Cirese comprendente altri canti molisani.

(canto n. 465, vv. 8-9)
E lassali ballà ssi scarpe sciote,
ca tenne la tarantilla ndi li pede;

Questo, inoltre, l’incipit d’un canto di Larino:
(canto 466, vv 1-2)
Com’abbàllene belle
sti gevenette a tarantelle.

(canto 462, vv. 7-12)
Santa Caterina sta ‘n castella,
bìia li carofani a ghiummelle.
N’ha biiàte tante e tante,
si l’ha riscuote tutti la Tarante.
La Tarante è ghiuta afa lu pane,
chi zi vò veve l’acqua di sta funtane.

La spallata invece era una danza usata per curare la paura provocata dalla vista di serpenti, più in generale, tale ballo serviva a rinfrancarsi dagli spaventi, dalle visioni allucinatorie e dagli incubi notturni. Anche questo ballo veniva assimilato al tarantismo, già dal 1621, nel Centumn historiae seu observationes et casus medici di Epifanio Ferdinando, la spallata è menzionata fra i balli utilizzati nella cura dei tarantati.

Fonte: https://www.pontelandolfonews.com/storia/pontelandolfo-2/tarantismo-molisano/

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