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La fiabesca vita di Charles Moulin

In uno splendido angolo delle Mainarde, sorge il rifugio dove visse gli ultimi anni della sua vita, il pittore francese Charles Moulin.

Personaggio particolare ed eremitico, quasi fiabesco, Charles Moulin, si reca a Castelnuovo al Volturno per la prima volta nel 1911 con l’intenzione di fermarsi alcuni giorni. Si trattiene invece per un anno e solamente dopo il 1919 si trasferisce definitivamente in Molise, dove rimarrà  per tutta la vita.

Di Antonella NigroOpera propria, CC BY-SA 3.0, Collegamento

Incantato dalle meraviglie dei luoghi, che si confacevano alle sue aspirazioni di vita ritirata, seguace delle teorie di Rousseau, conduce una vita da anacoreta, indossando abiti semplici con cui si copriva nei lunghi e freddi inverni, con lunga barba  bianca e incolta. Quasi una sorta di Gandalf francese.

Charles Moulin Gandalf

Moulin conduce in un’esistenza singolare, vivendo per lunghi periodi dell’anno sulla cima del Monte Marrone in un eremo costruito da lui stesso, volontariamente isolato, ma a completo contatto con la natura, fonte per la propria ispirazione e cibandosi con erbe, decotti e radici.

Il su eremo nient’altro era se non una piccolissima capanna realizzata con lastre di pietra e addossata aduna roccia, arredata con un letto di paglia, un tavolino, una seggiola. Ricorda molto la stanza di Van Gogh con le poche stoviglie, le sue tele, la tavolozza e gli inseparabili pastelli. In un angolo una bambola di pezza a grandezza umana che chiamava “la sua signora”.

All’esterno dell’abitazione troviamo una meridiana, un tavolino, una sedia, tronchi d’albero intagliati per formare dei sedili.

Quando era lontano sentiva forte la mancanza dei suoi boschi: “mi manca tutto questo, la mia montagna, le mie erbe, le notti nella capanna, il sole che spunta dietro il Matese e si riflette, rosa, sul Monte Marrone, l’amico camoscio, che scrutava alle mie spalle il dipinto a cui lavoravo su quella roccia a picco sull’infinito…”.

La Catena delle Mainarde e i boschi di Castelnuovo, fanno da sfondo alle sue opere in questo piccolo angolo di Paradiso che Moulin aveva scelto perché poteva “rendere il pensiero attraverso la natura, era libero di esprimersi secondo quanto gli veniva dettato dal meraviglioso scenario che lo circondava e nel quale il suo spirito trovava la pace”.

Moulin impegnò la sua esistenza nel tentativo di riprodurre l’incanto della luce che irradiava quei luoghi remoti, vivendo  in rifugi di fortuna come tuguri, caverne, stamberghe oltre al suo ultimo eremo.

Tra gli abitanti di Castelnuovo la sua figura è rimasta leggendaria. L’eremita gentile e spiritoso, coma la volta che a un uomo che gli chiese se mai avesse visto un orso rispose: “Ho un pezzetto di specchio, ogni volta che lo guardo vedo l’orso”.

Proprio come una sorta di santone o taumaturgo, per ricambiare l’ospitalità degli abitanti di Castelnuovo, che lo soprannominarono Mussiè Mulà, il pittore confezionava tisane per gli ammalati, continuando la sua passione per la pittura attraverso ritratti e paesaggistica. Ritraeva gente di ritorno dalle campagne a cui donava i suoi quadri e con cui conversava di filosofia e arte, fiumi, prati fioriti e ruscelli, nonché le maestose montagne.

La verità circa la motivazione del viaggio nelle Mainarde resta un mistero, forse vi arrivò spinto da un cuore ferito da una delusione amorosa o dalla guerra, che tanto dolore portava con sé e che fu vissuta in prima persona dal pittore, ufficiale durante la Grande Guerra.

La scoperta, invece, di quei luoghi è legata a uno zampognaro che posò per lui: Vincenzo Tommasone.

Fonte: http://www.famedisud.it/charles-lucien-moulin-da-pittore-a-genius-loci-di-un-molise-incantato/

 

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